
La risoluzione del contratto d’appalto è uno strumento che consente alle parti di sciogliere il vincolo contrattuale in presenza di gravi inadempienze o sopravvenute difficoltà nella prosecuzione del rapporto. Una “via d’uscita” che, se attivata correttamente, permette di limitare i danni e le perdite derivanti da un appalto divenuto eccessivamente oneroso o difficoltoso.
Ma quali sono i presupposti per poter risolvere il contratto? Come funziona la procedura e quali sono le conseguenze per committente e appaltatore? E soprattutto, quali errori è bene evitare per non esporsi a contestazioni o contenziosi?
In questa guida, l’avvocato Andrea de Bonis, esperto in contrattualistica di appalto e contenzioso costruzioni, ti spiegherà come interrompere un contratto di appalto in caso di problemi, tutelando i tuoi diritti e riducendo al minimo i rischi legali.
Capirai quando puoi attivare una risoluzione, come intimare la diffida o far scattare la clausola di risoluzione espressa, quali accortezze adottare con subappalti e fornitori. Vedremo anche gli errori da evitare e i rimedi esperibili per recuperare i crediti maturati.
Perché un conto è minacciare lo scioglimento del contratto, un altro è farlo nel modo giusto, con le carte in regola per vincere un’eventuale causa. Se sei alle prese con un appalto in crisi e vuoi capire come uscirne, questo è l’articolo che fa per te.
Sommario
Quando si può risolvere un contratto d’appalto?
Il codice civile e la legge sugli appalti pubblici prevedono diverse ipotesi in cui è possibile risolvere un contratto d’appalto. Si tratta di situazioni in cui la prosecuzione del rapporto contrattuale diventa eccessivamente onerosa o addirittura impossibile per una delle parti, a causa di gravi inadempienze o sopravvenute difficoltà.
In linea generale, i presupposti per la risoluzione del contratto di appalto possono ricondursi a tre macro-categorie:
- Grave inadempimento di una delle parti rispetto agli obblighi contrattuali;
- Impossibilità sopravvenuta della prestazione per cause non imputabili alle parti;
- Altre ipotesi previste dalla legge, come il fallimento dell’appaltatore.
Vediamo più nel dettaglio quali sono le principali casistiche che rientrano in queste categorie.
Gravi inadempienze dell’appaltatore
Il committente può chiedere la risoluzione del contratto quando l’appaltatore commette violazioni così gravi da compromettere il risultato finale dell’opera.
Rientrano nell’ambito dell’inadempimento imputabile all’appaltatore:
- I ritardi significativi e ingiustificati nel completamento dei lavori rispetto alle scadenze concordate;
- La sospensione arbitraria o l’abbandono del cantiere;
- Gravi violazioni delle norme di sicurezza o degli obblighi contributivi e previdenziali verso i lavoratori;
- Subappalti non autorizzati o eseguiti in violazione di legge.
Perché la risoluzione sia legittima, tuttavia, l’inadempimento dell’appaltatore deve essere di non scarsa importanza avuto riguardo all’interesse del committente (art. 1455 c.c.). Difetti o ritardi di lieve entità, che non compromettono la realizzazione dell’opera, non giustificano la risoluzione ma solo rimedi “minori” come la riduzione del prezzo, l’applicazione di penali o l’eliminazione dei vizi.
Mancati pagamenti e ostacoli del committente
Anche il committente può rendersi responsabile di inadempimenti che legittimano la risoluzione del contratto da parte dell’appaltatore. Il caso più frequente è quello del mancato pagamento del corrispettivo dovuto per stati avanzamento lavori o alla scadenza concordata.
Attenzione però: non ogni ritardo nei pagamenti giustifica l’immediato scioglimento del contratto. La giurisprudenza ritiene necessaria una prolungata e ingiustificata inerzia del committente, tale da far venir meno l’equilibrio sinallagmatico del rapporto. In presenza di ritardi occasionali o di breve durata, l’appaltatore dovrà prima diffidare il committente ad adempiere, assegnandogli un congruo termine.
Oltre ai mancati pagamenti, possono integrare un inadempimento del committente tale da giustificare la risoluzione anche:
- Illegittime intromissioni o modifiche unilaterali al progetto che rendono impossibile la corretta esecuzione dei lavori;
- Mancata consegna o ritardata messa a disposizione delle aree o dei materiali necessari all’esecuzione dell’appalto;
- Ostacoli alla consegna dell’opera ultimata o comportamenti non collaborativi in fase di collaudo.
Impossibilità sopravvenuta e altri casi di risoluzione
Il contratto si risolve poi “automaticamente” quando eventi esterni alle parti, come catastrofi naturali o provvedimenti dell’autorità, impediscono in modo definitivo la prosecuzione dell’opera.
In questi casi, il committente è tenuto a pagare la parte di opera già compiuta, nei limiti in cui è per lui utile e in proporzione del prezzo pattuito per l’opera intera. L’appaltatore invece ha diritto al rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del resto, ma solo se utili alla realizzazione dell’opera.
Fallimento e morte dell’appaltatore
Infine, il codice detta due ipotesi speciali di scioglimento del vincolo legate a vicende proprie dell’appaltatore:
- In caso di fallimento, il contratto si risolve automaticamente se il curatore non subentra;
- In caso di morte dell’appaltatore, il contratto si risolve se le sue qualità personali sono state determinanti. Il committente deve in ogni caso pagare ai suoi eredi il valore delle opere già eseguite.
Quello che abbiamo visto è solo un quadro di sintesi: nella realtà, valutare la legittimità di una risoluzione richiede un esame attento delle singole circostanze concrete. Di sicuro, però, conoscere i casi tipici può aiutare a prevenire situazioni di crisi o a gestirle nel modo migliore.
Come avviare la procedura di risoluzione
Una volta verificata la sussistenza di una delle ipotesi che legittimano la risoluzione del contratto d’appalto, è necessario attivarsi per comunicare formalmente all’altra parte la volontà di sciogliere il vincolo contrattuale. La legge prevede due strumenti principali per manifestare tale intenzione: la diffida ad adempiere e la clausola risolutiva espressa.
Diffida ad adempiere: presupposti e contenuti
Nella maggior parte dei casi, prima di poter dichiarare la risoluzione, la parte non inadempiente deve intimare all’altra di porre rimedio alle violazioni contestate entro un termine specifico, avvertendola che, in mancanza, il contratto si intenderà definitivamente risolto.
La diffida è necessaria ogniqualvolta l’inadempimento riguardi obblighi diversi dal pagamento del corrispettivo, come nel caso di ritardi o irregolarità nell’esecuzione dei lavori da parte dell’appaltatore, o di mancata consegna di aree o materiali da parte del committente.
Per essere valida, la diffida deve contenere:
- L’analitica descrizione degli inadempimenti contestati;
- L’assegnazione di un termine per adempiere, congruo rispetto al tipo di violazione;
- L’espressa previsione che, decorso inutilmente il termine, il contratto sarà risolto senza necessità di ulteriori comunicazioni.
La diffida va poi inviata con mezzi che consentano di provare con certezza la ricezione, come pec, raccomandata a.r., telegramma o consegna a mano con ricevuta.
Scaduto il termine senza che l’altra parte abbia sanato, il contratto si intenderà automaticamente risolto per grave inadempimento. A questo punto, è consigliabile inviare un’ulteriore comunicazione di presa d’atto dell’intervenuto scioglimento del rapporto.
Clausola risolutiva espressa: formulazione e attivazione
In alternativa alla diffida, le parti possono stabilire già in fase di stipula che il contratto si risolverà di diritto al verificarsi di determinati inadempimenti, senza necessità di previa intimazione. È il meccanismo della clausola risolutiva espressa, il cui scopo è rendere più rapida ed efficace la risoluzione in caso di violazioni ritenute particolarmente gravi.
Affinché la clausola sia valida, è essenziale che vengano descritti in modo dettagliato e oggettivo i comportamenti suscettibili di determinare la risoluzione immediata (ad esempio il superamento di una soglia di ritardo nei pagamenti o nel raggiungimento di determinate fasi di lavoro). Clausole generiche o formule di stile che facciano generico riferimento a “gravi inadempienze” rischiano infatti di essere considerate nulle dal giudice.
Verificatosi l’inadempimento previsto dalla clausola, la parte non inadempiente dovrà limitarsi a comunicare all’altra che intende avvalersi della risoluzione, senza necessità di assegnare ulteriori termini per rimediare.
Cosa succede dopo la risoluzione del contratto d’appalto?
La dichiarazione di risoluzione del contratto d’appalto, una volta divenuta efficace, determina il definitivo scioglimento del vincolo contrattuale tra le parti. Tuttavia, questo non significa che committente e appaltatore possano “voltare pagina” come se nulla fosse. Al contrario, la fase successiva alla risoluzione è delicata almeno quanto quella che la precede, e richiede il compimento di diversi adempimenti sul piano esecutivo ed economico.
Modalità di contabilizzazione e pagamento dei lavori
Sul piano strettamente contabile occorre definire le reciproche spettanze delle parti in base allo stato di avanzamento dei lavori al momento della risoluzione. A tal fine, entro 60 giorni dalla comunicazione di intervenuta risoluzione, il direttore lavori deve redigere:
- Lo stato di consistenza dei lavori già eseguiti;
- L’inventario di materiali, macchine e mezzi d’opera che resteranno a disposizione del committente.
Sulla base di questi elementi, nei contratti di appalto pubblico il RUP emetterà il certificato di pagamento per la liquidazione del saldo all’appaltatore, al netto di eventuali danni o spese anticipate per il completamento dell’opera. In caso di risoluzione per inadempimento del committente, l’appaltatore ha diritto di ottenere il pagamento dei lavori regolarmente eseguiti fino al momento dello scioglimento del contratto, sulla base dei prezzi contrattuali e delle risultanze contabili.
Inoltre, l’appaltatore potrà pretendere il risarcimento dei danni subiti a causa della risoluzione, quali ad esempio:
- I costi sostenuti per i materiali e le attrezzature dal cantiere
- Le penali o i maggiori oneri per lo scioglimento anticipato dei contratti di subappalto e fornitura
- Il mancato guadagno sui lavori non eseguiti, nei limiti di quanto stabilito dalla legge o dal contratto
Possibili contestazioni e riserve
Frequente, all’indomani della risoluzione, è l’insorgere di contestazioni tra le parti sulla legittimità della procedura seguita o sull’esatto adempimento delle rispettive obbligazioni.
L’appaltatore potrebbe ad esempio eccepire l’infondatezza delle ragioni poste a base dello scioglimento del contratto, negando la sussistenza di inadempimenti gravi o imputabili. Il committente, dal canto suo, potrebbe replicare che i ritardi e le difformità riscontrate giustificavano ampiamente il ricorso al rimedio risolutorio.
Ove poi, in pendenza del rapporto, l’appaltatore avesse iscritto riserve negli stati di avanzamento per sospensioni illegittime, ritardi nei pagamenti o modifiche onerose, si porrà il problema della loro definizione in via stragiudiziale o contenziosa.
La contabilità dei lavori e la documentazione delle attività eseguite e delle criticità emerse è fondamentale per tale fase.
Come gestire il subappalto in caso di risoluzione?
La risoluzione del contratto di appalto ha inevitabili ripercussioni sui rapporti di subappalto, che si trovano sospesi o interrotti. Questo può lasciare i subappaltatori con prestazioni già eseguite ma non pagate o con contratti che non possono più essere onorati. È quindi fondamentale gestire questa fase con attenzione, tutelando gli interessi di tutte le parti coinvolte.
Pagamenti ai subappaltatori per prestazioni eseguite
Il pagamento delle prestazioni già effettuate rappresenta una priorità. Il committente, con il supporto del direttore dei lavori, deve verificare la documentazione contabile relativa ai subappalti (fatture, stati di avanzamento lavori, certificati di pagamento) e predisporre un riepilogo delle somme dovute.
Prosecuzione dei lavori con i subappaltatori
Sebbene la risoluzione del contratto principale comporti in genere la cessazione dei subappalti, il committente può valutare di far proseguire i lavori ai subappaltatori per garantire la continuità del cantiere. Ciò richiede un nuovo accordo che preveda:
- La prosecuzione dei lavori alle stesse condizioni del contratto originario;
- Una manleva per le obbligazioni pregresse;
- Garanzie per la corretta esecuzione fino al completamento.
Questa scelta consente di minimizzare i ritardi, ma deve essere gestito con attenzione per evitare problematiche giuridiche e operative.
I 5 errori da evitare nella gestione della risoluzione
Vediamo, in sintesi, i principali errori da evitare per non compromettere la propria posizione in vista di un possibile contenzioso:
- Inviare diffide ad adempiere generiche o immotivate: la diffida deve contenere l’analitica descrizione delle violazioni contestate, l’intimazione a porvi rimedio entro un congruo termine e l’avvertimento che, in mancanza, il contratto si intenderà risolto;
- Proseguire i lavori senza autorizzazione dopo la risoluzione: una volta dichiarata la risoluzione, i lavori devono essere immediatamente sospesi in attesa delle determinazioni del committente;
- Non documentare le riserve e le ultimazioni parziali: in corso d’opera, è essenziale documentare puntualmente ogni criticità emersa nell’esecuzione dell’appalto, attraverso annotazioni nel giornale dei lavori, ordini di servizio, relazioni riservate;
- Sottovalutare i costi e i tempi necessari per le operazioni di “smobilitazione” e ripiegamento del cantiere: operazioni che richiedono tempo e comportano costi di cui occorre tenere conto nella valutazione di convenienza della risoluzione stessa.
- Improvvisarsi “giuristi fai da te” confidando nel proprio buon senso o nella bontà delle proprie ragioni. Al contrario, le molteplici insidie legali di questa delicata fase suggeriscono di affidarsi quanto prima alla consulenza di un avvocato esperto in contrattualistica ed appalti, che sappia guidare il cliente nella redazione di diffide e comunicazioni formali, nella quantificazione delle spettanze, nella predisposizione di nuovi affidamenti. Solo così si potrà affrontare con relativa serenità l’incognita della risoluzione, riducendo il rischio di vedersi poi trascinati nelle aule di tribunale o in arbitrato.
Rivolgiti allo studio legale de Bonis, sottoponici il tuo caso.
Andrea de Bonis
Avvocato amministrativista, patrocinante in Cassazione e Giurisdizioni Superiori. Laureato con Masters alla Lumsa, esperto in appalti e contratti pubblici. Partner di 24 Avvocati e relatore universitario, pubblico articoli specialistici con un linguaggio chiaro e accessibile, rendendo il diritto comprensibile a tutti.